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Nel corso e soprattutto al termine di un rapporto di lavoro vi sono molteplici ragioni per le quali il lavoratore può avere la necessità di fornire prova dell’esistenza del rapporto, nonché dei crediti maturati. Il lavoratore che ritenga di vantare dei crediti nei confronti del datore di lavoro, da quest’ultimo non onorati, dovrà necessariamente munirsi di prove atte a dimostrare tale circostanza.

La busta paga è certamente il documento più facilmente reperibile dal lavoratore, è legittimo perciò chiedersi quale valore probatorio abbia.

Una recentissima ordinanza della Suprema Corte di Cassazione, ord. n. 17312/2022 del 27 maggio 2022, tratta la questione relativa all’efficacia probatoria delle buste paga riferendosi in particolare all’utilizzabilità delle stesse ai fini dell’ammissione del lavoratore di una società fallita al passivo del fallimento di quest’ultima.

Il caso prende le mosse dalla domanda depositata da una lavoratrice, di essere ammessa al passivo del fallimento del proprio datore di lavoro, per poter recuperare le proprie spettanze (ferie non godute, indennità di mancato preavviso, tredicesima e quattordicesima mensilità). Il Giudice Delegato rigettava la domanda di ammissione, e successivamente anche Tribunale rigettava l’opposizione allo stato passivo promossa dalla lavoratrice, sul presupposto che la prova di quanto richiesto dalla lavoratrice non potesse essere fornita attraverso la produzione della busta paga.

La lavoratrice investiva quindi la Corte di Cassazione della questione ritenendo errata la decisione dei due precedenti organi giudicanti, sostenendo la piena idoneità della busta paga quale prova dei propri crediti. Gli Ermellini hanno ritenuto fondato il ricorso, esprimendo il seguente principio di diritto: “le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest’ultimo, hanno tuttavia piena efficacia probatoria del rapporto di lavoro esistente e del credito insinuato, alla stregua del loro contenuto, obbligatorio e penalmente sanzionato dall’art. 5 legge 25 gennaio 1953 n. 4, ferma restando la facoltà della controparte di contestarne le risultanze con mezzi contrari di difesa o, semplicemente, con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice”. Il Giudice Delegato e il Tribunale sono quindi caduti in errore nel non aver attribuito valore probatorio alle buste paga, che possono invece essere utilizzate dal lavoratore per provare:

  • l’esistenza del rapporto di lavoro;
  • l’esistenza del credito;

Spetterà eventualmente al datore di lavoro fornire prova contraria rispetto a quanto prodotto dal lavoratore.

Per il lavoratore è pertanto fondamentale essere in possesso delle buste paga perché le stesse possono essere utilizzate per ottenere un decreto ingiuntivo nei confronti del datore di lavoro, che condanni quest’ultimo all’immediato pagamento delle spettanze, senza dover incardinare un lungo giudizio ordinario.

Alcuni datori di lavoro -per lo più quando vi sono difficili situazioni aziendali-, nonostante l’obbligo giuridico, oltre a non corrispondere al lavoratore le spettanze maturate, non consegnano nemmeno le buste paga: ciò accade proprio in virtù del rilevante valore probatorio che rivestono le buste paga.

Ma a tutto c’è un rimedio!

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