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Le lesioni subite a causa di un infortunio sul lavoro, un sinistro stradale, un’insidia…, oltre a generare un danno all’ integrità fisica della persona, possono comportare gravi conseguenze anche in ambito occupazionale: può infatti accadere che il soggetto leso perda, in tutto o in parte, la capacità lavorativa, in tal caso si parla di danno alla capacità lavorativa specifica.

Il danno da perdita o lesione della capacità lavorativa specifica è un pregiudizio che rientra nella macrocategoria del danno patrimoniale, di cui il danneggiato -ricorrendone i presupposti- ha pieno diritto di essere risarcito.

Al fine di poter ottenere il risarcimento per tale “voce” di danno è necessario dimostrare che la riduzione della capacità lavorativa specifica si sia tradotta in un pregiudizio economico effettivo, avendo riguardo sia alla tipologia di lavoro svolta dal danneggiato che alla modifica -peggiorativa- dello stesso a causa delle lesioni riportate.

La capacità lavorativa specifica non va però confusa con il c.d. danno da cenestesi lavorativa di cui abbiamo già parlato in un precedente articolo che vi invitiamo a leggere cliccando qui.

Nel 2022 la Corte d’Appello di Venezia, in merito al danno patrimoniale derivante da perdita totale della capacità lavorativa specifica, ha confermato taluni principi già enunciati dalla Corte di Cassazione, sez. III, n. 2463/2020 (https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-2463-del-04-02-2020).

Nella sentenza della Corte Veneziana si afferma che, sotto il profilo medico legale, non è necessario che vi sia una corrispondenza tra l’entità dei postumi e l’entità del danno patrimoniale causato da essi. Postumi rilevanti potrebbero cagionare danni patrimoniali “minimi”, mentre lesioni micro-permanenti potrebbero di contro cagionare danni patrimoniali elevatissimi. A mero titolo esemplificativo si pensi ad un calciatore professionista che veda ridotta la propria capacità respiratoria, oppure a un pianista professionista che a causa dell’amputazione di una falange non possa più suonare.

L’incapacità lavorativa è estremamente soggettiva e varia al variare del tipo di lavoro svolto dalla vittima. Precisano i giudici della Corte d’Appello di Venezia che: “ il compito del medico legale è riferire al giudice se i postumi di natura biologica impediscano in tutto o in parte la prosecuzione dell’attività lavorativa che la vittima dimostri di aver svolto prima del sinistro; ed il compito del giudice è quello di determinare se ed in che misura il reddito della vittima si sia ridotto per effetto dei postumi: senza, dunque, alcun riferimento ai punti percentuali di “incapacità lavorativa specifica””.

Nel caso di specie la ricorrente aveva dimostrato di lavorare in qualità di operaia al momento dell’infortunio e il CTU aveva riconosciuto una perdita della capacità lavorativa specifica quantificata nel 25%. I Giudici della Corte d’Appello, nonostante il riconoscimento da parte del CTU di una riduzione parziale della capacità lavorativa, hanno disatteso le risultanze della CTU e ritenuto integrale la perdita di capacità lavorativa specifica. La Corte ha valutato i seguenti aspetti:

  • Età della ricorrente;
  • Grado di invalidità permanente (42% nel caso di specie);
  • Condizioni fisiche e psichiche della danneggiata;
  • Grado di scolarizzazione

concludendo per la perdita totale della capacità occupazionale della danneggiata, escludendo la possibilità di un suo futuro reimpiego.

Tenuto conto di quanto sopra evidenziato la Corte Veneziana ha pertanto condannato il responsabile civile al risarcimento integrale del danno patrimoniale patito dalla danneggiata, comprensivo sia del danno emergente (i redditi perduti dalla data del sinistro alla data della sentenza) che del lucro cessante (i redditi futuri sino alla prevedibile età pensionabile).

 

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