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Quando un individuo subisce un infortunio (sia esso infortunio sul lavoro, sinistro stradale…) può riportare un danno alla salute che incide sull’integrità psico-fisica e che può altresì comportare un maggior affaticamento nello svolgimento delle mansioni lavorative, rendendo più gravoso l’adempimento dei compiti relativi alla propria occupazione. Le attività che, precedentemente all’evento lesivo, venivano svolte impiegando una normale fatica fisica ora necessitano di uno sforzo maggiore che si ripercuote negativamente sulla capacità lavorativa dell’individuo.

Quale risarcimento danni spetta al danneggiato?

Il danneggiato deve essere integralmente risarcito di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali patiti a causa ed in conseguenza all’infortunio.

Concretamente pertanto, potranno essere ristorate, laddove ne sussistano i presupposti specifici, le seguenti – principali – voci di danno:

  1. Danno biologico permanente: la menomazione permanente all’integrità psico-fisica della persona, comprensiva degli aspetti personali dinamico-relazionali;
  2. Danno biologico temporaneo: l’insieme dei pregiudizi anatomo-funzionali, dinamico-relazionali e di sofferenza psico-fisica subiti dalla vittima, in conseguenza della lesione del diritto alla salute, limitatamente al periodo di malattia;
  3. Spese mediche sostenute;
  4. L’eventuale incidenza delle lesioni sulla capacità di produrre reddito (lesione della capacità lavorativa specifica o generica);
  5. Il danno da cenestesi lavorativa.

Tale ultima voce di danno è poco “conosciuta”.

La cenestesi lavorativa consiste in un peggioramento nello svolgimento delle mansioni lavorative, causato da:

  • limitazioni nei movimenti (quando non siano tali da ridurre la capacità lavorativa incidendo pertanto sull’aspetto patrimoniali: danno patrimoniale);
  • maggior e più repentino affaticamento nel compiere le medesime attività che si svolgevano ante sinistro;
  • riduzione della propensione a sopportare lo sforzo fisico;
  • impiego di maggior tempo per effettuare le stesse lavorazioni che venivano svolte prima del sinistro.

La Suprema Corte di Cassazione definisce la cenestesi lavorativa proprio come il “maggiore sforzo nello svolgimento di un’eventuale, futura attività lavorativa ed incidente sulla generica capacità lavorativa” (Cass. Civ. Sez. III, 08.11.2007, n. 23293).

Si riporta un esempio chiarificatore:

Un artigiano piastrellista, a seguito di un sinistro stradale, riporta la distorsione del rachide cervicale e lombo-sacrale. E’ indubbio che i postumi permanenti del danneggiato possano incidere sulla attività professionale, rendendogli più difficoltoso ciò che prima non lo era. L’artigiano verosimilmente infatti farà più fatica a sollevare pesi, ad effettuare velocemente le lavorazioni e sarà soggetto a un maggior e più repentino affaticamento.

Tutto ciò costituisce il danno da cenestesi lavorativa e dovrà essere risarcito al danneggiato dal responsabile civile o dalla di lui compagnia d’assicurazione.

Nonostante si tratti di una voce di danno talvolta “dimenticata”, essa -quando debitamente provata- trova pieno riconoscimento in sede giudiziale.

Il Giudice, accertata la cenestesi lavorativa, liquiderà pertanto tale voce di danno (rientrante nella macrocategoria del danno non patrimoniale), mediante una personalizzazione, ossia applicando un appesantimento percentuale del valore monetario per ciascun grado di invalidità riconosciuto (danno biologico permanente).

L’indirizzo giurisprudenziale è ben riassunto nell’ordinanza  n. 12572 del 07.03.2018 emessa dalla Sezione VI della Corte di Cassazione civile, di cui si riporta un breve estratto: “… il danno da lesione della “cenestesi lavorativa”, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa, si risolve in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo e va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute, potendo il giudice, che abbia adottato per la liquidazione il criterio equitativo del valore differenziato del punto di invalidità, anche ricorrere ad un appesantimento del valore monetario di ciascun punto…”.

 

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